VESUVIO-AFRICA – Andata e ritorno di una giornalista che racconta del “mal d’Africa” e di un progetto, diventato realtà

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Il mal d’Africa, quella sensazione di malessere legata al ritorno in un Occidente, il tuo, che sembra respingerti, mai accoglierti con dell’acqua fresca e una formula di benvenuto, ti rende pigro. Ti accorgi che il mal d’Africa non lo puoi spiegare a chi l’Africa l’ha vista solo in televisione. Non è arroganza, ma spesso non riesco a raccontare la mia profonda nostalgia a chi non ha incontrato l’Africa autentica. Se soffri perché è morto un tuo caro o se soffri per amore, incontrerai tante persone che possano dirti: “ti capisco, so cosa vuol dire”. Ma la risposta che dovrai aspettarti da chi conosce l’Africa attraverso i tuoi racconti, sarà al massimo: “posso immaginare”. E “posso immaginare”, per chi ha visto con i propri occhi e vorrebbe rivedere ancora, non ha molto senso. Quest’anno siamo partiti in sei alla volta di Togoville: c’era come sempre papà Enzo, il prof. Enzo Liguoro, fondatore di una casa-famiglia per 35 bambini orfani, c’eravamo io e mio padre medico già con esperienze in Sud Sudan, Madagascar, Burkina Faso ed Etiopia, c’era il mio grande amico Tullio, odontotecnico di Pollena Trocchia, c’era Nadia, ristoratrice di Cupra Marittima e amica virtuale di Mama Africa e Alina, amministratrice albanese della pagina di Mama Africa da almeno due anni. La nostra attività lì è iniziata fin da subito: in un mese, grazie all’aiuto dei nostri tanti amici virtuali, siamo riusciti ad avviare molti nuovi progetti: sono arrivati nella casa-famiglia tre nuovi bambini: Jean, Ive e Ivette, la nonna del piccolo Agossou, bambino di cui papà Enzo si occupa da tempo perché gravemente malato, ha ricevuto per la prima volta nella sua vita l’elettricità in casa propria e presto arriveranno per lei e il suo nipotino due materassi, Anani, il ragazzo gravemente malato di drepanocitosi che papà Enzo segue da tanti anni, è stato ricoverato e seguito personalmente da mio padre nell’ospedale di Afagnan dove ha subìto anche una serie di trasfusioni. Assou e Victor, due nostri bambini, sono stati curati per, rispettivamente, i piedi piatti e per un problema al ginocchio, il 30 gennaio è stata consegnata a Mamma Coraggio, responsabile di una nuova casa-famiglia a Vogan, la prima trance di 900 euro per l’allacciamento dell’impianto elettrico. infine abbiamo avviato un progetto di assistenza medica nel carcere di Vogan dove sono rinchiusi 87 “morti che camminano”. Abbiamo donato loro anche del sapone: non lo avevano. “Nonostante la miseria che si toccava con mano – racconta Alina – sentivo di amare quel posto. Non esagero nel dire che mi sono trovata una seconda casa. E’ stato il viaggio più significativo che abbia mai fatto. Per quanto riguarda il mio ritorno e stato duro, forse perché il contrasto fra i due mondi è troppo forte, troppo crudo. Al momento stesso in cui ho messo piede fuori casa-famiglia per ritornare in Albania, sapevo già che quel posto mi sarebbe mancato”. Non è stato molto diverso per Tullio che mi ha confessato: “Non pensavo che un viaggio potesse incidere tanto sulla vita di una persona, Ho visto cose che difficilmente dimenticherò, ho conosciuto persone fantastiche ed ho visto la vera Africa, non quella dei villaggi turistici. Ho visto la vera povertà, ma ho visto anche quanto sono ospitali i togolesi e con che dignità vivono la loro vita”.

Roberta Migliaccio

loravesuviana.it

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