(Foto di Andrea Sarno)
Terra di ginestre e tumori; di coltivazioni e di rifiuti tossici. Si scrive “San Vito al Vesuvio”, contrada ercolanese e porta di ingresso al paradiso naturalistico del Parco Nazionale del Vesuvio, ma si legge “Terra dei Fuochi vesuviana”. Come nella “Terra dei Fuochi” del Casertano e della periferia a Nord di Napoli, la presenza di roghi tossici e di rifiuti interrati e l’incremento di patologie tumorali tra i residenti della zona caratterizza, negativamente, anche la parte alta del comune di Ercolano.
La nascita di comitati e associazioni per arginare lo scempio ambientale, le denunce di residenti e realtà parrocchiali, le testimonianza di collaboratori di giustizia, una volta affiliati ai clan della malavita locale, hanno permesso, nel corso di 4 anni, di rompere il muro di indifferenza sul biocidio alle falde del Vesuvio.
La storia della Terra dei Fuochi vesuviana è la storia di Via Novella Castelluccio: stradina di confine tra i comuni di Ercolano e San Sebastiano, abbandonata al degrado e all’abbandono. Sul ciglio della via, cumuli di rifiuti di ogni genere, dai quali è possibile scorgere i resti dei vari roghi tossici appiccati negli anni. Arrampicandosi proprio su quei cumuli di rifiuti, e ponendo l’occhio sul panorama vesuviana è possibile avvistare facilmente i luoghi simbolo della Terra dei Fuochi ercolanese: Cava Montone, nel cui terreno confinante alle coltivazioni di pomodorini del piennolo (fortunatamente non contaminate, secondo analisi condotte dall’Istituto Zooprofilattico del Mezzogiorno), grazie alle segnalazioni di padre Marco Ricci, prete-coraggio della parrocchia del S. Cuore di Gesù, sono stati rinvenuti oltre 100 fusti tossici interrati nel sottosuolo; Cava Fiengo, sequestrata dalla magistratura dopo le rivelazioni del pentito Ciro Gaudino, ex killer del clan Ascione-Papale, che hanno permesso il ritrovamento di oltre 400 metri cubi di rifiuti anche speciali; e il vecchio sito di stoccaggio (che a mala pena contiene il percolato) posto ai piedi di quella che i residenti chiamano la “collina del disonore”, l’Ammenda Formisano: 30 metri di terreno cresciuti in altezza in circa 30 anni, col netto sospetto da parte dei cittadini di San Vito, di rifiuti tossici interrati nel sottosuolo.
La conseguenza di questo scempio ambientale nel panorama mozzafiato vesuviano è, molto probabilmente, l’incremento della “brutta malatìa”, soprannome con cui i residenti indicano il tumore. Uno studio scientifico condotto nel 2013 dal Comitato Ambiente Vesuvio, grazie all’attivismo del tossicologo dell’Ospedale Monaldi di napoli, il dottore Gerardo Ciannella, infatti, ha riscontrato la notevolissima incidenza di tumori del cervello e del polmone tra gli abitanti della zona: “4 anni fa abbiamo avuto il coraggio di portare avanti, tramite volontariato, un’inchiesta sull’incidenza di neoplasie e leucemie a San Vito.– ha detto Gerardo Ciannella – Su 324 persone intervistate, circa il 21% della popolazione totale, circa 200 sono risultate positive a patologie tumorali. Perlopiù del cervello e respiratorie, nella fascia di età dai 45 ai 50 anni. Dati importanti su cui spero di poter condurre nel breve tempo una pubblicazione scientifica per richiedere la collaborazione e l’aiuto di altri colleghi, professori, ospedali. Anche se la cosa, date le mie esperienze passate, posso dire che non è affatto facile”.
STORIE DI RESISTENZA: PADRE MARCO RICCI RICORDA I CADUTI DELLA TERRA DEI FUOCHI CON FOTO E PREGHIERE IN CHIESA
Sono più di cinquanta le fotografie delle vittime per tumore e leucemia che ricoprono l’altare della Chiesa del S. Cuore di Gesù di San Vito al Vesuvio: frazione di Ercolano la cui contrada che si inerpica sulla salita al vulcano dovrebbe rappresentare “l’ingresso al paradiso naturalistico” del Parco Nazionale del Vesuvio; ma che oggi, invece, si presenta come una “discesa agli inferi” della Terra dei Fuochi Vesuviana.
E’ da lì, dal piccolo altare, ricoperto di foto, della “piccola” Chiesa ercolanese che, lo scorso Venerdì 10 Febbraio, Padre Marco Ricci, in occasione di una tre giorni di eventi e iniziative, religiose e culturali, da dedicare alla Madre Terra, ha ricordato la strage degli innocenti: bambini, giovani, adulti e anziani che hanno perso la vita nella frazione a Nord di Ercolano a causa di patologie tumorali. Nel silenzio e nell’assenza delle istituzioni il “piccolo” parroco, dal cuore e dal coraggio grandi, le cui denunce hanno permesso il ritrovamento di oltre 100 fusti tossici interrati, ha lanciato un monito di accusa e un invito alla redenzione, a chi ha avvelenato la terra; e a chi, non denunciando, per paura o per collusione, ha contribuito all’inquinamento del territorio vesuviano.
Sono passati oltre tre anni dalla diffusione dei dati del Registro Tumori “cafone” redatto a San Vito con l’aiuto del tossicologo Gerardo Ciannella; oltre due anni dal ritrovamento dei fusti tossici a Cava Montone e Cava Fiengo; poco più di un anno dalla “passerella della Commissione Parlamentare sul Vesuvio” e dalla promessa di presidio e prevenzione da parte dell’amministrazione locale; e nulla è stato fatto dalle istituzioni per cercare quantomeno di arginare il biocidio nella zona nord del Comune degli Scavi. Le vittime e gli ammalati di cancro di questa bellissima, ma maledetta, “Madre Terra”, gridano ancora vendetta e spingono il prete ad un invito alla denuncia e al perdono per cercare di far emergere la verità sull’avvelenamento del territorio vesuviano:“Papa Francesco dice sempre: “Dio ci perdona. L’uomo qualche volta; la Natura mai”. – ha detto Padre Marco Ricci – E allora visto che non si vuole scavare nelle cave, scaviamo nei nostri cuori… bonifichiamo le nostre coscienze. E chiediamo perdono dei nostri peccati. Tutti quanti noi, ma in modo particolare, deve chiedere perdono chi ha seppellito e inquinato le nostre terre e chi ha fatto fare ciò. Deve chiedere perdono chi sa ma tace, o perché ha paura o perché è colluso. Deve chiedere perdono chi denigra coloro che si impegnano e denunciano; chi ci dovrebbe tutelare facendo emergere la verità e non affossandola… Deve chiedere perdono chi dice che i roghi tossici nascono dall’autocombustione; chi accusa che si crea allarme e fango tra la gente; chi in consiglio comunale ha detto che diffondiamo solo notizie tossiche; chi ha anche detto che i dati della mortalità dell’Istituto Superiore di Sanità non sono attendibili; chi si piega ai poteri forti e non fa nulla per difendere la Madre Terra e i beni comuni; chi ci prende in giro con false promesse; chi preferisce l’immagine e il selfie alla nostra salute…“.
L’invito alla denuncia e al perdono di Padre Marco Ricci è accompagnato dalla testimonianza di due giovani donne campane: Anna Magri, madre di Riccardo di Castel Volturno, giovanissima vittima della Terra dei Fuochi, e presidentessa del comitato “Noi genitori tutti“; e Tiziana Boccone, 40enne di Castellammare di Stabia: “Sono la mamma di Riccardo, – ha detto Anna Magri – malato di leucemia a 6 mesi e morto a 22 mesi. Sono 4 anni circa che insieme a mamme come me ,che non si sono piegate al dolore, combatto per un’operazione verità. Col mio figlio siamo passati in brevissimo tempo dal seno al chemioterapico: dalla mano naturale del Signore, a quella artificiale dei macchinari. Ho vissuto in ospedale i suoi primi passi; la sua prima parola; i suoi primi dentini. Avevo promesso di riportarlo a casa, ma non ci sono riuscita. Ho scelto così un nuovo obiettivo: capire il perchè di queste morti. Perchè questa non è soltanto la mia di storia: E’ la storia di Nesia, morta a 4 anni; di Francesco che di anni invece ne aveva 9; e poi ancora di Antonio, Alessia, Alice: bambini che erano nati per vivere e che oggi, invece, non esistono più“. “Ho perso 12 gravidanze. – ha testimoniato con commozione, invece, Tiziana – Ho perso mio padre e mia madre. Nel mio corpo sono stati ritrovati metalli pesanti. Non potrò mai essere mamma: ho perso anche il tempo per sognare. Vi supplico, nel vostro piccolo, date un contributo per far emergere la verità.”
IL BELLO DEL TERRITORIO E IL MARCIO DELLA “MUNNEZZA”: LE MODELLE SFILANO A SAN VITO DOVE MUOIONO I BAMBINI
(Foto di Antonio Cozzolino)
“Modelle” sfilano tra i rifiuti per sottolineare la dicotomia tra la bellezza del paesaggio vesuviano e il disastro ambientale creato dall’uomo a San Vito al Vesuvio. Da un lato la bellezza e la sinuosità del crepo femminile; dall’altro il paesaggio di periferia deturpato dall’immondizia e dallo scempio ambientale: dovuto all’abbandono e al disinteresse delle istituzioni.
Sabato 11 Febbraio è stata inaugurata, presso le Scuderie di Villa Favorita, la mostra “Contraddizioni” di Antonio Cozzolino, a cura dell’associazione “Giovani per il Territorio”, da anni impegnata nella battaglia per arginare il biocidio nella contrada ercolanese: “L’idea di questa mostra fotografica – ha detto Domenico Sannino, ideatore della mostra e presidente dell’associazione – nasce da una lunga battaglia sul territorio per la rimozione dei cumuli di rifiuti in alcune vie di San Vito. Abbiamo pensato di smuovere le coscienze con un’iniziativa goliardica, capace di attirare l’attenzione di un pubblico giovanile. Senza prenderci troppo sul serio, ma con l’intento comunque di voler denunciare quello che non va nel nostro territorio, da tempo, infatti, siamo impegnati in una battaglia per la salvaguardia dell’ambiente e della salute dei cittadini della zona Nord di Ercolano. In Estate, grazie alla prestazione gratuita di Antonio Cozzolino, giovane fotografo ercolanese iscritto all’Accademia delle Belle Arti, e a quella delle improvvisate modelle, quasi tutte proveniente da San Vito, o comunque da paesi e zone limitrofe, siamo riusciti con un budget davvero “lowcost” a realizzare questo evento artistico. L’intento è quello di sottolineare l’abbandono da parte delle nostre istituzioni nelle zone definite di Periferia. Nel corso degli anni non è cambiato niente a San Vito. Nonostante siamo stati più volti ascoltati dal Sindaco in passato, mancano ancora presidi di sicurezza sul territorio e delle telecamere, da tempo promesse dall’Amministrazione comunale in alcune zone della contrada, spesso scenario di sversamento illecito di rifiuti, non ve ne è neppure l’ombra”
Dario Striano
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