LA FAIDA DI SCAMPIA – Luci e ombre sugli omicidi che generarono la guerra tra i Di Lauro e gli “spagnoli”
Erano tutti amici e “soci” in affari. Fino a quando le trame dell’organizzazione le gestiva il “milionario”, tutti avevano un ruolo e tutti rispettavano i patti. Poi la gestione passò a “cosimino” e non si capì più niente. Solo con la guerra di Scampia è passato alla ribalta il nome del super boss del narcotraffico Paolo Di Lauro, al secolo “ciruzzo ‘o milionario”. Ieri altri arresti di quella che dopo la faida tra i cutoliani e quelli della Nuova Famiglia (un cartello costituito da più di dicei clan per mettere fine al super potere del “professore” Raffaele Cutolo) è stata la guerra di camorra che ha lasciato più morti sul selciato. Se ne contavano anche sei al giorno. Figurano anche mandanti e killer del raid omicida che diede il via alla cosiddetta faida di Scampia (Napoli, ottobre 2004-marzo 2005) tra i 21 destinatari di altrettante ordinanze di custodia cautelare in carcere eseguite dalla squadra mobile e dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Napoli. La sanguinosa guerra in seno al clan Di Lauro ebbe inizio il 28 ottobre del 2004 con il duplice omicidio di Fulvio Montanino e Claudio Salierno eseguito per mano dei cosiddetti «scissionisti» proprio nella roccaforte del clan, in via Vicinale Cupa dell’Arco. Un vero e proprio atto di forza – descritto anche da Roberto Saviano nel suo best seller «Gomorra» – eseguito esibendo una ragguardevole mole di fuoco e uomini, e con la partecipazione diretta anche dei vertici di quello che poi avrebbe preso le sembianze di un nuovo clan. Il commando che eseguì l’omicidio Montanino-Salierno era composto da Arcangelo Abete, soprannominato “angioletto” (mandante ed esecutore materiale assassinio Montanino), Ciro Mauriello (arrestato ieri), Gennaro Marino (mandante ed esecutore materiale omicidio Salierno), Gianluca Giuliano, Carmine Pagano (detenuto al 41 bis a L’Aquila) e Carmine Cerrato (ai domiciliari e pentito). Il commando partì dalla roccaforte di Abete e Marino, dal covo delle cosiddette «case celesti», in via Limitone di Arzano: lì fornirono supporto logistico al raid Luigi Secondo, Francesco Barone – i due procurarono i mezzi di locomozione – e Angelo Marino che custodì le armi usate nell’agguato insieme al nipote Roberto Manganiello (arrestato ieri). Dopo il duplice omicidio Abete e Mauriello si recarono ancora con i vestiti sporchi di sangue a Varcaturo, località a nord di Napoli, per comunicare a Raffaele Amato e Cesare Pagano la riuscita dell’operazione. L’ordinanza colpisce anche autori e mandanti di alcuni agguati falliti nei confronti di Fulvio Montanino. Tra i mandanti, oltre agli emergenti Amato e Pagano, figurano anche i capi storici dell’ex clan Di Lauro, Raffaele Abbinante e Rosario Pariante. Le indagini della DDA hanno evidenziato anche il ruolo da protagonisti rivestito dai due emergenti: fu proprio Marino a proporre l’assassinio di Fulvio Montanino – braccio destro di Cosimo Di Lauro – in alternativa all’uccisione dei figli di Paolo Di Lauro, proposta da Cesare Pagano. Una proposta accolta nella speranza che Paolo potesse ritornare in gioco ricomponendo la frattura determinata dalla gestione di suo figlio, Cosimo Di Lauro. Obiettivo che, però, non fu centrato perchè, malgrado l’intervento di Paolo, Cosimo decise di rispondere con le armi. Fatta luce anche su alcuni raid punitivi ordinati da Cosimo Di Lauro nei confronti dei componenti del commando di scissionisti che assassinò Montanino e Salierno: nel corso di uno di questi agguati, il 30 ottobre del 2004, fu anche ferito un innocente, Vittorio Buono. Per questo ultimi episodi la Dda ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare per possesso d’armi aggravato da finalità camorristica.
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