La Camorra a Portici. Ecco chi era Luigi Vollaro, in arte ” ‘o Califfo “: boss stratega, “sciupafemmine” e d’altri tempi
SESSO, SOLDI, SANGUE E POTERE: E’ MORTO IL BOSS SCIUPAFEMMINE, LUIGI ‘O CALIFFO, PER ANNI RE DELLA MALA VESUVIANA. Sesso, soldi, sangue e potere. E’ morto, lo scorso 3 Dicembre, nel carcere milanese di Opera, dove era detenuto da anni in regime di 41 bis, stroncato da un improvviso malore, il boss Luigi Vollaro, detto il “Califfo“: uno dei capi-camorra più potenti e carismatici della zona vesuviana.
Nato nel 1932, Luigi Vollaro è stato uno dei protagonisti della guerra che, negli anni 80, ha insanguinato la provincia partenopea. A fronteggiarsi, da un lato, la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, alias ‘o prufessore; dall’altro, la Nuova Famiglia egemonizzata dai Zaza–Nuvoletta–Gionta–Bardellino–Alfieri–Giuliano–Vollaro: un consorzio di clan camorristici, tra cui quello del Califfo, che ha prima contrastato, e poi definitivamente sconfitto lo stradominio cutoliano nella geografia criminale napoletana.
Il primo arresto nel 1982: dopo 3 ore di trattative per una doccia e un doppio petto da indossare, Luigi Vollaro è tratto in arresto proprio nella sua villa, sita nel comune di San Sebastiano al Vesuvio. Un gioiello da 3 miliardi lire, ricco di confort, donne ed armi da fuoco nelle sue 44 stanze, che, oggi, nonostante i proclami e le promesse della Politica, risulta ancora abbandonato al degrado. Il boss è accusato di essere il mandante di ben 4 omicidi, commessi durante la guerra con i cutoliani. Circa un anno dopo, la prima condanna all’ergastolo per l’uccisione di Giuseppe Mutillo, un suo ex affiliato colpevole di esser passato dalla parte degli avversari; a cui seguiranno quelle per gli omicidi di Carlo Lardone e Giuseppe Frattini.
L’inizio della fine per il boss incontrastato di Portici, San Giorgio a Cremano e San Sebastiano al Vesuvio: territori in cui il Califfo è riuscito a crearsi un impero economico grazie, soprattutto, al business del mattone, e a quelli del racket e del contrabbando di sigarette. Un profilo criminale particolare quello del boss di casa Vollaro: spietato e lungimirante negli affari ma anche amante della vita, dei suoi piaceri e soprattutto delle donne. Il suo soprannome nasce, infatti, dalle tante relazioni avute e dai suoi 27 figli. Donne e figli rappresenteranno poi una vera e propria maledizione per il “re della mala vesuviana”. Nel 1979 è accusato di aver commesso un duplice omicidio a sfondo passionale: quello del portinaio sangiorgese Antonio Scotto, legatosi sentimentalmente a una delle ex amanti del Califfo, Giuseppina Velotto, il cui piede verrà ritrovato carbonizzato, anni dopo, nelle campagne di San Sebastiano al Vesuvio. Nel 1995 una maxiretata della polizia ed il conseguente pentimento di uno dei suoi figli, Ciro, poi suicida in carcere, arrecano un grave danno al clan porticese che, però, nonostante il regime carcerario di molti tra suoi affiliati e reggenti, e i numerosi colpi messi a segno dalla magistratura, riesce comunque a sopravvivere nel corso degli anni, e a difendere i suoi feudi dalle mire espansionistiche dei clan di Napoli Est.
Come dimostrano il recente arresto di uno dei figli di Luigi Vollaro, Pietro, accusato di aver chiesto il pizzo in bicicletta ad alcuni cantieri edili della zona; l’ultima relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia; e gli arresti di altri 2 figli del Califfo, Luciano e Giuseppe, per estorsione aggravata dal metodo mafioso, durante un’operazione condotta dalla Questura di Napoli che, nel mese di Aprile, ha inferto un altro duro colpo al “clan accattone”: così definito dagli inquirenti proprio per la sua propensione al business illecito del racket che non risparmierebbe neppure i venditori ambulanti. Qualche settimana prima degli arresti di Aprile, una donna, nipote del boss Antonio, aveva minacciato, con una tanica di benzina, di darsi fuoco in pieno Centro Storico a Portici: zona del comune vesuviano in cui regnano l’ambulantato e l’abusivismo. La vicenda, su cui è stato aperto un fascicolo, ha ricordato il suicidio di un’altra nipote del boss Vollaro, Anna, datasi fuoco all’interno della sua attività commerciale, appena sequestrata dalla Polizia, la mattina del 9 Ottobre 2003.
Come se il fuoco fosse elemento imprescindibile nella maledizione delle donne di casa Vollaro; lo stesso fuoco che per anni ha mosso lo spirito e il temperamento del “boss sciupafemmine”, morto due settimane fa nel carcere milanese di Opera dopo oltre 20 anni di carcere duro in regime di 416/bis.
COSì MUORE L’ULTIMO VERO BOSS DEL VESUVIANO. IL GIORNALISTA BRUNO DE STEFANO RACCONTA LUIGI VOLLARO, IN ARTE ‘O CALIFFO. Un boss malavitoso tra i più temuti, il cui profilo criminale appare come offuscato da un lato “umano” particolarmente interessante che lo ha reso l’ultimo camorrista ancor in grado di far trasparire il vero fascino del male: Bruno De Stefano, giornalista professionista, cronista di nera e di giudiziaria, e autore di numerosi libri, tra cui “I Boss della Camorra”, ci descrive così Luigi Vollaro, in arte ‘o Califfo, il boss dell’omonimo clan operante sui territori di Portici, San Giorgio a Cremano e San Sebastiano al Vesuvio, morto lo scorso 3 Dicembre nel carcere milanese di Opera, dove da anni era rinchiuso in regime di 416 bis: “Con la morte di Luigi Vollaro sparisce la figura del criminale che nella vita fa anche altro. Una figura che, sia chiaro, non ci mancherà assolutamente. – ha detto Bruno De Stefano – Il Califfo è stato un boss da una storia particolarmente interessante e da un codice camorristico tutto suo. Una figura dalle mille contraddizioni: un boss, sotto certi aspetti, “sotto traccia” che però è arrivato addirittura a commissionare un omicidio a sfondo passionale. Non vorrei rischiare di mitizzare la figura di un criminale, ma Vollaro ha avuto la capacità di coniugare un versante violento del suo carattere ad una capacità strategica che gli ha consentito di godere, fino alla detenzione dell’82, delle ricchezze ottenute dopo anni di attività illecite sul territorio. Ecco, Luigi Vollaro amava la vita ed i suoi piaceri. E non è una cosa così scontata per un boss. Lo dimostrano le tante relazioni sentimentali avute, i tanti figli, e il lusso di cui era solito circondarsi. Cose che lo hanno portato però anche a grosse delusioni, ad una sorte di maledizione: come il pentimento del figlio Ciro, poi suicida in carcere. Non ho, forse, mai visto un camorrista vivere gioie e dolori con altrettanta carica. Un uomo di grande temperamento, di grande carisma e di grandi capacità comunicative che è come se avessero messo in secondo piano la sua storia e il suo profilo criminale. Basti pensare che è forse l’unico boss ad aver avuto un soprannome positivo, quello di “Califfo”, che mette in risalto il suo piacere alle donne”.
A distanza di due settimane dalla morte del boss della mala vesuviana, a Portici, la famiglia ha ringraziato i cittadini con dei manifesti per i tanti messaggi di condoglianze ricevuti: “Questo – continua De Stefano – accade perché a Vollaro non ho mai visto fare qualcosa di oltremodo folle e aggressivo. Resta sempre un camorrista, ma era un uomo “di rispetto”, in grado di far parlare di sé anche per altro, e di comandare non solo con il terrore… a differenza di molti colleghi della sua generazione e, soprattutto delle nuove leve di camorra: solo violente, spietate e prive di qualsiasi visione strategica”.
Visione strategica che ha consentito, nel corso degli anni, al clan Vollaro, nonostante le numerose condanne e gli arresti, di resistere, seppur indebolito anche nei vertici, all’azione della magistratura, alle mire espansionistiche dei clan di Napoli Est, e di difendere l’egemonia dei suoi affari nei suoi feudi vesuviani: “Vollaro è stato bravo anche a diversificare i suoi affari che andavano dal controllo del territorio attraverso il racket, al commercio della droga; dal business del mattone a quello del riciclaggio di denaro attraverso attività lecite.– conclude De Stefano – Cose che hanno permesso alla sua famiglia di resistere alle pressioni degli attuali clan della Periferia orientale di Napoli, i cui nuovi capi sono stati proiettati sulla scena senza una vera e propria trafila e profilo criminali. Ci vuole carattere per immaginare e dirigere un clan: cosa che non vedo in nessuno dei nuovi “boss” di camorra”.
AGEVOLAZIONI PER CHI DENUNCIA IL RACKET. Intanto, a Portici, l’Amministrazione comunale cerca di tendere una mano a chi denuncia il racket in città. E’ stato pubblicato in settimana sul sito web del Comune l’avviso per il sostegno alle imprese che hanno sporto denuncia per atti di estorsione o usura. L’avviso pubblicato, a firma dell’Assessore alla Legalità, Valentina Maisto e del Sindaco Nicola Marrone, rende concreta la possibilità di accedere a significative agevolazioni, per un periodo cinque anni, rispetto alla tassa sui servizi indivisibili (TASI), quella sui rifiuti solidi urbani (TARI), il canone di occupazione suolo pubblico (Tosap) e l’imposta sulla pubblicità (ICP)“L’impegno concreto dei Giovani Organizzati nella lotta alla camorra. – ha detto il consigliere Mauro Mazzone, in prima linea in questi due anni per la delibera – Intendiamo le Istituzioni non come un palcoscenico da cui fare annunci, ma come il luogo delle scelte responsabili e dell’azione concreta in difesa dei cittadini”.
CASO CIRO A MARE: LA LUNGA ODISSEA DI CHI HA DENUNCIATO IL RACKET VOLGE DAVVERO ALLA FINE? Dalle agevolazioni per chi denuncia il racket all’odissea di chi da anni combatte contro la Camorra. Dal fuoco della maledizione delle donne di casa Vollaro a quello che ha devastato Ciro a Mare, il ristorante incendiato dalla Camorra locale e da allora mai più riaperto. Dalla fiamma di passione e violenza che ha animato lo spirito del Califfo a quelle di coraggio, speranza e solidarietà protagoniste del Presepe vivente davanti lo storico esercizio commerciale sito nel porto del Granatello.
Si intravede una piccola luce di speranza per la famiglia Rossi, titolare di Ciro a Mare. Prima di Natale la questione della riapertura del ristorante sarà portata in consiglio comunale, secondo quanto promesso ai nostri taccuini dal sindaco di Portici Nicola Marrone: “La transazione è pronta, – ha detto Tiziana Rossi, titolare dell’attività – adesso il consiglio comunale dovrà deliberare circa la riapertura del nostro ristorante. Il sindaco Marrone ha già espresso la sua volontà politica di volerci aiutare. L’ultimo ostacolo resta proprio il Consiglio. Pertanto vorrei rivolgere ad ogni singolo consigliere un appello: dopo 6 anni di lotte e di sofferenze ci avviciniamo al traguardo e vorrei che ogni rappresentante dell’assise consiliare fosse presente per votare circa la riapertura di “Ciro a Mare“. Vorrei che, a prescindere da qualsiasi impedimento, fisico e non, e da qualsiasi colore politico, i nostri consiglieri fossero presenti in aula onde evitare l’ipotesi della mancanza del numero legale che eviterebbe la votazione della transazione. Essere assenti in un giorno così importante per chi ha deciso di ribellarsi al racket, significherebbe non solo piegarsi alle logiche camorristiche, ma anche scegliere di stare dalla parte loro“.
Nel frattempo volge al termine questo 2015, e così anche il mese di Dicembre; ma del consiglio comunale, da convocare per risolvere l’ardua questione, ancora non vi è traccia nei comunicati e sul sito del Comune… nonostante il Presepe vivente organizzato dalla FAI ( Federazione Antiracket Italiana )le scorse settimane, presso la spiaggia delle Mortelle, per ri-accendere i riflettori mediatici sulla vicenda. Presepe vivente a cui hanno preso parte centinaia tra politici, cittadini e rappresentanti delle forze dell’ordine, strettisi in un cerchio di fuoco simbolico proprio in prossimità delle feste natalizie: periodo solitamente favorito dai clan per le estorsioni.
Dario Striano
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