Il caso Fanpage e le accuse ai giornalisti, Fnsi: “Troppe le minacce verso i giornalisti. Ogni aggressione calpesta il diritto del cittadino ad essere informato”
Libertà di stampa, rispetto della professione giornalistica e tutela del segreto professionale. Oltre al “caso Fanpage” si è discusso anche di questo all’incontro presso la sede del giornale indipendente Fanpage. “A nessuno è consentito usare minacce e linguaggi indecorosi nei confronti di giornalisti”. A sostenerlo con fermezza è Giuseppe Giulietti, presidente Fnsi, in occasione della conferenza stampa presso la sede napoletana di Fanpage. L’incontro è stato organizzato a seguito delle reazioni scatenate dall’inchiesta condotta dal giornale online sul traffico illecito di rifiuti tossici in Campania, che vede implicati camorra, amministrazione pubblica e politica. “I toni usati dal governatore Vincenzo De Luca dei giorni scorsi non possono essere tollerati – secondo il presidente del sindacato dei giornalisti”. E i casi di aggressione nei confronti di chi fa informazione in tutta Italia non sono pochi. “Sono diventate troppe le minacce, le ingiurie e le aggressioni nei confronti dei giornalisti. Un conto è criticarli o anche portarli in tribunale contestando eventuali errori, altro è, invece, alzare i toni o prenderli a sberle. Ogni volta che si minaccia un giornalista si calpesta il diritto dei cittadini ad essere informati”. E sul decreto di esibizione del materiale raccolto da Fanpage da parte della Procura di Napoli Giulietti non usa mezzi termini. “Casi come questo di Fanpage, del Sole 24 ore, de La Stampa, sono pericolosi. C’è il rischio di arrivare alle fonti del cronista, metterlo a nudo. Il giornalista ha un segreto professionale che serve a tutelare non solo se stesso ma anche il diritto del cittadino ad essere informato. Se si toglie il segreto al giornalista gli si toglie la capacità di indagare: in questo caso corrotti e mafiosi festeggeranno. Quando una notizia ha una rilevanza sociale quella notizia va data. Non è una facoltà del giornalista ma un obbligo”. Tutti i giorni, sindaci, pubblici amministratori e segretari di partito, gli stessi magari che durante il loro mandato affidano soldi pubblici alle coop familiari, bandiscono concorsi al comune che regolarmente vincono i familiari, spendono soldi pubblici in consulenze spesso rivelate esose, non si interessano di percepire per anni i canoni di locazione di beni pubblici affidati a privati, minaccino i giornalisti a suon di querela che nel caso di amministratori pubblici non pagano loro, ma gli avvocati dell’ente. C’è un modo subdolo per intimidire la stampa, specie se questa è libera, perché non tutti gli organi di informazione, per quanto importanti e autorevoli, lo sono: la querela per diffamazione a mezzo stampa. Il politico, l’amministratore, il faccendiere, il portaborse di turno che fa? Purchè certe cose non escano fuori o per allineare il cronista scomodo di turno, gli viene notificata dai carabinieri della stazione di afferenza a quella del giornalista nel mirino una querela per diffamazione a mezzo stampa. In sostanza una denuncia. La legge italiana, che su questo come su tanti punti andrebbe rivista con gli occhi della giustizia e non solo della forma, infatti concede a tutti, anche a manigoldi, assassini e truffatori di denunciare un’altra persona. Saranno i giudici poi a considerare eseguibile quel processo o archiviabile. Nel mentre, il denunciato deve difendersi e quindi rivolgersi a un avvocato e quindi pagare dei soldi di tasca propria che invece il denunciante il più delle volte riserva alle casse dell’ente presso cui svolge il prestigiosissimo servizio…
I giornalisti non sono i depositari della verità, sia chiaro. Come deve esser chiaro però che una notizia è solo la trasformazione di un fatto, un episodio accaduto, per cui veritiero. Senza manualismi: le notizie false vanno denunciate e le condotte giornalistiche poco corrette pure. Usare la denuncia come minaccia subdola alla libertà di stampa, però, dovrebbe anch’essa costituire reato.
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