I RACCONTI DI TERRA – La storia di una donna rivoluzionaria, contadina e cuciniera attraverso la penna, gli occhi e il cuore di sua figlia. Ecco l’oro rosso del Vesuvio

La prima operazione da compiere è scegliere la zona del campo, che bisogna variare di anno in anno, adeguata a favorire la futura piantagione. Verso marzo si procede con la zappatura per aprire il terreno e renderlo pronto a ricevere nuovi inquilini. Dopo questa preparazione ed un eventuale concimazione del suolo, a distanze variabili ma abbastanza larghe da far passare una persona, si creano i filari tramite solchi lineari lunghi come una bozza a matita di un grande disegno vegetale. In ogni linea si trapiantano, distanziandole tra i 15 ed i 20 centimetri, le piantine di pomodoro del piennolo.

Il trapianto è la parte di questo frutto che preferisco, dopo il ragù; da come vengono piantate, dalla qualità della piantina e dal meteo dei giorni successivi che nasce un buon raccolto. Ma le cure per il pomodorino del piennolo non si fermano al trapianto, infatti, durante il periodo estivo bisogna fare una serie di lavori e trattamenti. Questo oro rosso è una varietà di pomodoro coltivata principalmente nel territorio vesuviano i cui terreni vulcanici ne favoriscono la crescita e gli regalano quelle qualità che lo rendono un’eccellenza campana (dal 2009 ha il marchio D.o.p.). Ne “I Fasti di Somma”, libro di Candido Greco, si legge in una didascalia accanto una foto di un albero sommese che: <<Fu chiamata Somma per l’abbondanza di generosissimi vini e di buonissima frutta quali mantengonsi da un anno all’altro>> e quasi certamente si riferisce al pomodoro del piennolo capace di restare integro anche fino ad aprile se tenuto in un luogo ben ventilato ma lontano dal sole.

Questo particolare pomodoro ha una forma davvero caratteristica tendente all’ovale con la parte apicale sporgente detta “pizzo”, invece il sapore varia non solo in base al seme ma anche in base alla collocazione del terreno in cui è stato coltivato. La buccia resistente permette una conservazione duratura che avviene spesso nella composizione di “piennolo” cioè un intreccio di diversi grappoli di pomodoro, intorno ad un filo, che può variare di forma e di peso. In effetti il nome di questo pomodorino è riferito al metodo di conservazione mentre le cultivar hanno altri nomi (es. acampora, lucariello, principe borghese) e le varietà sono parecchie. Negli ultimi anni questo pomodoro è stato molto rivalutato e fortunatamente la sua coltivazione è stata ripresa ed è in continua espansione. Nella nostra famiglia era usato ma non coltivato fin quando mia madre, tramite la cooperativa nella quale mia nonna era socia, entra in contatto con Slow Food che proprio quell’anno decise di rendere presidio il nostro caro pomodoro. Da allora ha iniziato come venditrice e successivamente come coltivatrice spinta e consigliata da Giovanni Marino di Casa Barone. Come per ogni cosa esiste quel che resiste e per non perdere questa cultivar è un bene che si aumenti il numero di produttori soprattutto se è per tutelare un prodotto singolare e dal sapore unico. Voglio lasciare una ricetta che rappresenta le merende della mia infanzia, come quella di molti, che è di una semplicità estrema:

IL PANE COL POMODORO SCIRIATO

Ingredienti: pane, pomodoro del piennolo, sale, olio. Preparazione: tagliare una fetta di pane spessa ma non troppo, prendere i pomodori e tagliarli a metà, spingere i pomodori sulla fetta di pane come a volerli unire indissolubilmente, usare sale ed olio qb.

di Ilaria Feola

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