COMBATTERE O MORIRE – Il primo volume della collana “La nuova famiglia, la vera storia” scritto da Luigi Giuliano e Simone Di Meo
Napoli, i vicoli, la fame del dopoguerra. Le sigarette di contrabbando e poi la droga. Fiumi di champagne, fuoriserie, notti trascorse nei night e la guerra di camorra. La Fratellanza napoletana per combattere il super boss della Nco Raffaele Cutolo e i rapporti con la Spagna. L’ex re della malavita napoletana, poi collaboratore di giustizia, oggi pare compositore di canzoni e basta, dopo essere uscito dal programma i protezione e residente da anni fuori da Napo, si racconta. Luigi Giuliano e il giornalista di inchiesta Simone Di meo hanno dato alle stampe (per ora acquistabile solo su Amazon) un libro, il primo di una collana di sei volumi. “Nuova famiglia – la vera storia: Combattere o morire”.
Il primo testo, edito da Stylo24 Edizioni, è disponibile esclusivamente su Amazon e racconta la nascita del conflitto contro Raffaele Cutolo e Michele Zaza con retroscena e ricostruzioni inedite.
Non mancano inoltre spaccati sulla vita criminale dell’epoca. Comprese la trattativa tra Guardia di finanza e contrabbandieri per evitare spargimenti di sangue durante i folli inseguimenti nel Golfo di Napoli; e la creazione di una forza eversiva neofascista occulta chiamata La Fenice, promossa e organizzata – racconta Giuliano – da Giuseppe Misso. Di cui il collaboratore dice: “Da quando avevano iniziato a coltivare il sogno della Fenice, i miei amici, i miei complici si erano trasformati, non li riconoscevo più. Avevano lasciato le sembianze criminali e si erano trasformati in qualcosa di diverso. Qualcosa che mi creava sgomento e che mi incuteva paura. Tanto più dopo l’ingresso nella Fenice di mio cugino Vincenzo Pisanelli e di alcuni mafiosi siciliani come Vito La Monica, Franco Caccamo e Gerlando Alberti jr. Questi ultimi avevano allacciato rapporti con Misso grazie al fratello Paolo – di cui si è sempre sottovalutata l’importanza dal punto di vista strategico e delle decisioni assunte dal gruppo del rione Sanità – e tramite un altro importante appartenente alla Fenice. Un grande burattinaio che spunta in quasi tutti i misteri d’Italia: Pippo Calò. Fascista e mafioso, Calò rappresentava una sorta di dio per Peppe e per quelli della Magliana che, infatti, lo fecero assurgere a loro nume tutelare”.
Altro racconto inedito è quello del tentato furto del tesoro di San Gennaro.
“Avevamo stabilito di attaccare dalle fogne, proprio come nel film di Dino Risi con Nino Manfredi, Operazione San Gennaro. Era la nostra tecnica vincente: sapevamo che camere blindate e casseforti aggredite frontalmente cedono quasi mai. Puoi usare chili e chili di tritolo, ma restano intatte. Se, invece, le tagli da sotto con la fiamma ossidrica si aprono facilmente, proprio come una scatoletta di tonno. Questo succede perché i progettisti pensano anzitutto a rafforzare le pareti e la porta d’accesso di un caveau, quasi mai il pavimento. Abbiamo fatto rapine memorabili utilizzando questa strategia, ed eravamo sicuri di poterla applicare senza alcun rischio anche nella Cappella del tesoro di San Gennaro. L’unica difficoltà era solo quella di trovare una strada, nel sottosuolo, che ci consentisse di andare a colpo sicuro e di sbucare nel punto giusto. A questo pensò la nostra «talpa», un impiegato del servizio fognario che aveva l’ufficio in una sede distaccata del Comune di Napoli, in via Foria. Ci recuperò piantine e planimetrie della zona grazie alle quali, nel giro di qualche settimana, riuscimmo a trovare una strada percorribile e «garantita» per arrivare al cospetto del Santo”.
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