Cala il sipario sul Pomigliano Jazz festival, incontriamo chi assieme ad Onofrio Piccolo di ha creduto dall’inizio: l’ex sindaco dell’ex “rossa” Pomigliano d’Arco Michele Caiazzo
Michele Caiazzo, ex sindaco di Pomigliano d’Arco, è tra gli ideatori del Pomigliano Jazz Festival, in programma in questi giorni. Questa manifestazione è diventata un evento bipartisan? È sbagliato etichettare una grande iniziativa culturale e di marketing territoriale, pro o contro una parte politica. Negli anni, con grande fatica, il Jazz Festival è diventato un evento centrale non solo per Pomigliano, ma per tutta la Campania ed è conosciuto nel mondo. È un limite farsi prendere da atteggiamenti faziosi o ideologici dietro un evento che è entrato nel patrimonio storico della città. Dall’anno scorso i concerti più importanti sono a pagamento. All’epoca lavorammo con degli sponsor, in primis il Banco di Napoli, e con un contributo regionale su fondi europei, ma se non ci sono risorse sufficienti è chiaro che bisogna ricorrere ai concerti a pagamento. Ovviamente la manifestazione cambia i suoi connotati ed è certamente un fatto negativo. Il Pomigliano Jazz dei primi anni è costato molto meno di un di un cantautore famoso, e ha sempre garantito musica gratis e di alto livello. Avere una manifestazione fuori dai classici circuiti commerciali può essere allettante e redditizio per grossi sponsor, l’importante è pianificarla bene. Questo è il risultato di una gestione che va oltre il Comune e investe Provincia e Regione, dove non c’è nessuna pianificazione. Si parla tanto di grandi strategie, in realtà vedo solo cancellare quello che c’era prima, com’è successo con il museo Madre. Fortunatamente sono convinto che questa fase sia chiusa e che nei prossimi anni si cambierà registro. I sindaci devono investire in cultura? Mi rendo conto che nell’area napoletana e in questo momento storico è molto difficile trovare sponsor privati, ma bisognava lavorarci: una cosa è avere un brand consolidato, altra cosa è il semplice concerto. Nella competizione territoriale l’area napoletana ha avuto mazzate fortissime. La gente va a Roma, in Umbria e in Toscana, sempre meno in Campania. Al di la dei risvolti economici, che ci sono, i Comuni devono industriarsi per arricchire il territorio di attività culturali perché e con esse che una comunità vive e cresce. Lo schema degli anni 70 e 80, in cui le amministrazioni elargivano soldi a destra e a manca per concerti, è sbagliano e non sarebbe concepibile oggi. Ma senza cultura le nostre città diventano solo dormitori.
Daniele De Somma
l’Ora
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