40 ANNI DAL SEQUESTRO CIRILLO – Il 27 aprile 1981 il gruppo scissionista delle Brigate Rosse rapisce l’ex assessore regionale Dc e ammazza gli uomini della scorta. Un romanzo ne traccia il mistero
Il 27 aprile 1981 il gruppo scissionista delle Brigate Rosse che risponde a Giovanni Senzani e che ormai si chiama Partito della Guerriglia – rapisce a Torre del Greco, l’assessore democristiano all’urbanistica della regione Campania Ciro Cirillo. L’agguato – che avviene nel garage della sua abitazione – provoca la morte del poliziotto di scorta e dell’autista ed il ferimento del segretario. Il sequestro si trasforma in breve in un clamoroso caso politico dietro cui si agita un complicato intreccio, rimasto ancora oggi oscuro, tra servizi segreti, uomini delle Brigate Rosse, camorristi e vertici della DC.
Il sequestro Cirillo viene inserito dalle Brigate rosse in una vera e propria campagna: assieme a lui finiscono nelle mani dei terroristi anche Renzo Sandrucci, dirigente dell’Alfa Romeo (sequestrato dalle Br della “colonna milanese Walter Alasia”), Roberto Peci, fratello di Patrizio Peci, primo “pentito” dell’organizzazione (sequestrato, sotto la sigla Fronte delle Caraceri, sempre dal gruppo Senzani) e l’ingegnere della Montedison di Marghera Giuseppe Taliercio (sequestrato dalle Br-Pcc). Lo scopo dichiarato di Senzani è quello di guadagnare – soprattutto dopo l’arresto, il 4 aprile 1981 a Milano, del capo dell’organizzazione Mario Moretti – il massimo possibile di consenso nel Mezzogiorno, in particolare cercando le simpatie dei disoccupati e dei senzatetto del dopo terremoto.
Lo Stato annuncia subito la linea dura. Come per Moro tre anni prima, anche per Cirillo non dovrà esserci alcuna trattativa. Ma non è così: i servizi segreti si mettono subito in moto e fanno quello che non hanno mai fatto per Moro: battono ogni strada per la liberazione di Cirillo. Per prima cosa cercano contatti con la Camorra, il cui capo indiscusso è Raffaele Cutolo e la cui struttura controlla capillarmente il territorio. Cutolo in quel momento è detenuto nel carcere di Ascoli Piceno. A lui, al boss camorrista, appena 24 ore dopo il rapimento di Cirillo, i servizi segreti chiedono notizie sull’ostaggio.
Le Brigate rosse tra il 30 aprile e il 7 maggio del 1981 diffondono tre comunicati. Cirillo, sottoposto a “processo popolare” con tanto di riprese video, viene accusato, tra l’altro, della “deportazione dei proletari terremotati”. Il 12 maggio le BR, con il comunicato n.5, diffondono un messaggio del sequestrato. Cirillo dice: “Terremotati, sono Ciro Cirillo, sono rinchiuso nella prigione del popolo come prigioniero di guerra delle BR. Sto pagando 30 anni di attività antiproletaria. Ho capito che la ricostruzione non può essere basata sulla deportazione”. Pochi giorni dopo il capogruppo Dc al consiglio comunale di Napoli Roberto Pepe, chiede la requisizione di 900 case sfitte da assegnare ai terremotati. E’ un segnale che con le Br si sta trattando. Il 15 maggio le Br tornano all’attacco e gambizzano il consigliere comunale democristiano Rosario Giovine indicato come “una spia del regime infiltrato nel movimento dei disoccupati”.
Il 6 giugno viene prelevato Umberto Siola, assessore comunale all’Urbanistica, sempre democristiano. Senzani lo interroga per quasi un’ora mentre l’auto su cui viaggiano attraversa indisturbata il centro della città. Il giorno dopo, dopo giorni di silenzio, a casa Cirillo, arriva una lettera. E’ lo stesso ostaggio che scrive ai figli Franco e Bernardo. Tramite Cirillo le Br fanno una nuova richiesta: la pubblicazione in veste integrale dei documenti contenenti l’interrogatorio di Cirillo ad opera delle Br. Ad accettare la richiesta è solo il quotidiano “Lotta Continua” con il titolo: “Quattro pagine che avremmo preferito non pubblicare”. Cirillo alle Br ha detto tutto, raccontando 30 anni di potere democristiano a Napoli, con tanto di nomi, correnti e strategia politica. Tutto sembra precludere alla liberazione dell’ostaggio. Invece il 9 luglio 1981 arriva il comunicato n. 11 che contiene un lugubre messaggio: “Il processo a Ciro Cirillo è terminato e la condanna a morte di questo boia è la giusta sentenza in questa società divisa in classi ed è nello stesso tempo il più alto atto di umanità che le forze rivoluzionarie possono compiere”.
A questo punto per gli uomini del Sismi, il servizio segreto militare, l’ultima carta è quella di tornare con il cappello in mano da Cutolo il quale, in cambio di vantaggi sempre rimasti misteriosi, accetta di sviluppare, attraverso suoi uomini, una trattativa con i brigatisti detenuti.
Il 24 luglio del 1981, dopo 88 giorni, Cirillo torna libero. Ma subito dopo la liberazione dell’ostaggio si verifica un episodio incredibile: l’auto su cui viaggia Cirillo, diretta in Questura come hanno disposto i magistrati, viene dirottata a casa sua dove Cirillo evita di farsi interrogare e accetta di incontrare solo i notabili democristiani Antonio Gava e Flaminio Piccoli. Dirà Giorgio Napolitano, futuro capo dello Stato: “Il caso Cirillo è una delle pagine più nere dell’esercizio del potere nell’Italia democratica”.
Del sequestro Cirillo scrive magistralmente, sotto forma di romanzo il cronista di nera e giudiziaria, prima de l’Unità e poi del Corriere del Mezzogiorno, all’epoca diretto da Marco Demarco, Vito Faenza. “Il terrorista e il professore” (edizioni Spartaco, 118 pagine 10 euro). Nel suo secondo romanzo Faenza propone la vicenda del rapimento dell’assessore Regionale, Cirillo, ma in una versione romanzata in cui racconta del rapporto fra un terrorista, ex sindacalista, e il capo della camorra. Il sequestro Faenza non lo cita, ma le vicende si diramano in un giallo da leggere tutto d’un fiato dove storia, cronaca, misteri e romanzo si fondono magistralmente. Tra sangue, armi e bandiere rosse, sporche anche di sangue, c’è anche spazio per una storia d’amore: quella del terrorista e della sua donna. Nonostante Faenza ci tiene a precisare che i protagonisti sono inventati, il richiamo alla realtà che ha raccontato dalle colonne de l’unità c’è tutto, partendo proprio dalla dedica: il “Il terrorista e il professore” infatti oltre a sua moglie e suo figlio è “dedicato a tutti coloro che hanno sacrificato la vita per aprire uno squarcio di luce sui fatti oscuri dell’Italia di tanti anni fa”.
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