Ecco la confessione del mandante dell’omicidio dell’ingegnere Salvatore Coppola: «Io sono il primo mandante. Lo so: devo morire in carcere, ma voglio chiedere scusa alla famiglia»:ha detto in aula Gennaro Petrucci
Portici – A un anno dal brutale massacro nel parcheggio di un supermercato a Napoli, arriva la confessione del mandante dell’omicidio dell’ingegnere Salvatore Coppola (a sinistra nella foto sotto), ucciso per alcune controversie legate a una villa di via De Lauzieres nella città del Granatello. «Io sono il primo mandante. Lo so: devo morire in carcere, ma voglio chiedere scusa alla famiglia»:ha detto in aula Gennaro Petrucci, imputato nell’ambito del processo per l’agguato mortale al professionista napoletano.
L’ingegnere Salvatore Coppola venne raggiunto da un solo colpo alla nuca, mentre – il 12 marzo del 2024 – si trovava nel parcheggio di un supermercato di via Protopisani a San Giovanni a Teduccio a due passi dalla nuova sede dell’Università. Secondo la ricostruzione degli investigatori, a premere il grilletto fu Mario De Simone (a destra nella foto sotto) , imputato insieme a Gennaro Petrucci e indicato proprio da quest’ultimo come l’esecutore materiale del delitto.
«La sera dell’omicidio, Mario De Simone mi disse che aveva fatto ‘il servizio’. Gli diedi 500 euro e quattro bottiglie di vino. In totale gli ho dato 7mila euro per l’omicidio». Ma il mandante dell’omicidio in aula ha puntato il dito anche contro un altro imprenditore che sarebbe il finanziatore del raid.
«Mi diede 10.000 euro. Io non volevo ucciderlo, ma non mi potevo più tirare indietro» ha aggiunto Gennaro Petrucci, rispondendo alle domande del pubblico ministero Sergio Raimondi.
In totale, il killer avrebbe dovuto incassare 20.000 euro. Stando alle indagini, condotte dalla squadra mobile di Napoli e dal commissariato di polizia San Giovanni-Barra, l’omicidio sarebbe maturato per delle controversie legate alla villa di via De Lauzieres, dove Gennaro Petrucci viveva con la moglie Silvana Fucito, imprenditrice simbolo dell’antiracket (nella foto sotto). Proprio una denuncia della donna a Salvatore Coppola – secondo Gennaro Petrucci, ascoltato in aula nella doppia veste di testimone e imputato – avrebbe creato divergenze tra l’ingegnere e i coniugi Petrucci-Fucito, al punto da spingere l’uomo a «vendicarsi» partecipando all’asta giudiziaria della lussuosa villa tramite un prestanome.
Il marito di Silvana Fucito ha fatto nomi e cognomi di diverse persone, tra cui il nome del presunto finanziatore dell’omicidio, che si sarebbe aggiudicato all’asta quella casa, poi confiscata e dunque rimasta nel limbo di controversie civili e ancora in suo possesso.
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